Perché ci piace il pericolo
Questo articolo ha lo stesso titolo del libro scritto da Roberto Inchingolo (“Perché ci piace il pericolo”, Sironi Editore) che indaga come mai la paura, un’emozione sviluppata per segnalarci la presenza del pericolo, e tenerci alla larga da esso, possa talvolta essere invece motivo di forte attrazione.
Generalmente il pericolo ed il piacere sono due parole vissute psicologicamente come quasi antitetiche; la prima, fonte di paure ed ansie, mal si accosta alla gradevolezza della seconda legata invece ad un contesto di soddisfazione in ciò che si sta vivendo in quel preciso momento. Ma se facciamo attenzione non è sempre così…
Chi pratica sport estremi, i giocatori d’azzardo o chi semplicemente ha la passione dei film thriller o horror o si diverte a giocare ai giochi virtuali “sparatutto”, per esempio, condivide il gusto per le attività che miscelano al piacere anche una componente relativa il rischio percepito.
Esiste un meccanismo psicologico comune che sottende tutte queste attività e che induce a ricercare e replicare attivamente esperienze similmente eccitanti ed altrettanto coinvolgenti.
Questo meccanismo di natura bio-psico-sociale (per chi volesse approfondire c’è il mio articolo pubblicato da Franco Angeli “L’approccio bio-psico-culturale”) riguarda la percezione di ciò che consideriamo rischioso, e quindi pericoloso, ma allo stesso tempo gestibile dalle nostre capacità percepite, e quindi considerato almeno in parte controllabile (nel senso di percepito a portata del “nostro controllo”).
La nostra percezione del “saper” o “poter” controllare delle situazioni potenzialmente rischiose e quindi ansiogene è molto connessa con il nostro senso di autoefficacia, della capacità cioè di sentirci attori principali delle scelte che guidano le nostre vite.
Va da sé che maggiore è la sensazione di controllo e quindi di autoefficacia che abbiamo, migliore sarà il nostro senso di soddisfazione e appagamento nei confronti dei percorsi di vita che stiamo intraprendendo.
Anche l’aspetto sociale gioca un ruolo importante perché, oltre ad offrire la possibilità di percepire il rischio come meno pericoloso (perché condiviso quindi più “diluito” o “disperso” nella sua intensità), rinforza l’identità ed il senso di appartenenza ad un gruppo esclusivo che condivide esperienze simili. L’esclusività sociale la si può notare anche dal tipico e specifico linguaggio utilizzato dai membri del gruppo che può essere utilizzato anche come strumento per identificare chi fa parte (e chi no) di questa cerchia sociale.
Oltre all’aspetto sociale e psicologico ne esiste uno anche più strettamente fisiologico che prevede, durante lo svolgimento delle attività pericolose e piacevoli, l’attivazione del circuito dello stress (si veda a riguardo il mio video “il Circuito dello Stress“), detto anche risposta “lotta o fuggi”, con il conseguente rilascio di adrenalina associata però anche alla dopamina e alle endorfine che ci spingono a identificare e replicare questo tipo di esperienze gratificanti.
Appare in parte paradossale che alcune attività legate ad una fonte di rischio siano da una parte vissute come “allarmanti” e dall’altra come “gratificanti” ma il paradosso tende a dissolversi quando si legge il fenomeno considerando i benefici psicologici e le dinamiche neurofisiologiche legate al senso di controllo ottenuto coltivando attività dove la percezione del pericolo viene gestita gradualmente rispettando le proprie capacità.
Il paradosso risulta apparente anche, e soprattutto, se si acquisisce un interpretazione del fenomeno in chiave evoluzionistica perchè il mostrare comportamenti come quelli analizzati in quest’articolo possono avere un profondo significato evoluzionistico nel contesto dei meccanismi della Selezione Sessuale (che include i criteri di scelta del possibile partner).
Una mia tesi di dottorato che presentai nel 2006 arrivò alle stesse conclusioni di Roberto Inchingolo: alcuni comportamenti apparentemente privi di senso perché costosi e/o pericolosi fino al punto di sembrare disadattivi e non vantaggiosi per colui che li esprime, acquistano un preciso e chiaro significato in funzione della loro connotazione positiva dal punto di vista esperienziale ed evoluzionistica.
Roberto Inchingolo presenta, nel suo interessante libro “Perché ci piace il pericolo”, un’attenta e approfondita analisi degli aspetti bio-psico-sociali del fenomeno in questione sviscerando le dinamiche che caratterizzano questi comportamenti.
Qui una video intervista al Dr. Inchingolo sull’argomento.