“ANCHE IO SONO UN PO’ PSICOLOGO”
Se sono in grado di cambiare la batteria o il tergicristallo dell’auto non mi considero un perito meccanico, se riesco ad estrarmi una scheggia conficcata nella mano non mi reputo un chirurgo cosi’ come se faccio attivita’ motoria regolarmente non mi sento un personal trainer eppure… ci sentiamo tutti un po’ psicologi.
Questo scritto cercherà di esplorare alcune, spero interessanti, implicazioni di questo diffuso fenomeno sociale.
E’ esperienza comune degli psicologi sentire frasi del tipo: “sa, sono anche io un po’ psicologo…” oppure un qualcosa di simile a: “non ho studiato all’università ma ho imparato facendo esperienza con il mio lavoro…”.
Con queste frasi in genere si vuol comunicare una particolare abilità nel capire alcune sofisticate dinamiche psicologiche proprie o delle altre persone, abilità che rappresentano nell’immaginario collettivo una delle caratteristiche distintive della categoria dello psicologo e che dovrebbero essere particolarmente raffinate e coltivate da questi professionisti.
Dal punto di vista degli psicologi appare senza dubbio riduttivo comparare la conoscenza di un aspetto singolo della psicologia allo studio metodico della stessa (già di per sé piuttosto articolata ed ampia); può essere talvolta anche abbastanza frustrante per uno psicologo sapere che ancor oggi sia molto diffusa l’idea dello studio della psicologia come un qualcosa di molto naif, che lo si può apprendere anche senza particolari studi se si è sensibili o acuti o si fa molta esperienza “sul campo” (il “campo” al quale mi riferisco qui può essere molto eterogeneo ma in genere vuole connotare il settore della comunicazione persuasiva: dal settore delle vendite all’accoglienza clienti etc.).
Qui risiede un apparente paradosso della nostra cultura: sappiamo che la mente umana è l’oggetto più complesso dell’universo (l’unico caso in cui l’oggetto di studio e il soggetto che studia il fenomeno coincidono) ma spesso si pensa che lo studio sistematico e scientifico della psicologia sia comparabile ad una capacità che si può ottenere solo attraverso la propria esperienza senza il contributo del sapere scientifico accumulato nel tempo dal lavoro di molte altre persone. Eppure con altre sfere del sapere non ci comportiamo similmente malgrado la complessità dell’oggetto di studio sia meno complesso (comparato a quello della mente): nessuno si sognerebbe di dire che è “un po’” chirurgo vascolare se è capace di tamponare una ferita così come nessuno direbbe mai che è “un po’ ” astrofisico perché si è appostato a guardare la via lattea per varie notti.
Ho il sospetto che l’origine di questo paradosso stia nel fatto che per noi e la nostra identità sia molto diverso avere a che fare con una materia come l’anatomia o l’astrofisica rispetto alla psicologia. Nessuno (che non lavora nel settore medico) si offenderebbe se qualcuno gli/le dicesse che non è in grado di saper leggere i parametri riportati da un’analisi del sangue, a mio avviso invece avviene qualcosa di molto diverso con lo studio della psicologia perché qualsiasi persona (anche chi non bazzica il settore psicologico) trova più invasivo e denigrante se gli/le si fa notare che non coglie alcuni aspetti di se stesso o degli altri.
Non ci sentiamo “in difetto” se non conosciamo i mendri della programmazione informatica, ne dell’arte della chirurgia, al contrario ci sentiamo non sufficientemente adeguati se siamo consapevoli di non riuscire a capire molte dinamiche psicologiche e/o sociali che caratterizzano molto spesso (se non sempre) il nostro quotidiano.
Al di là delle qualità soggettive che rendono più o meno acute psicologicamente le persone (a prescindere che queste siano o meno psicologi naturalmente) penso che la consapevolezza della conoscenza scientifica accumulata nello studio della mente sia uno degli elementi fondamentali per comprendere la competenza che un professionista deve possedere per essere in grado di contribuire efficacemente a migliorare la qualità di vita delle persone.